Missione Cristiana Universale    
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i Vangeli

 
         
La parola italiana “vangelo” (o “evangelo”) deriva dal latino evangelium, a sua volta derivato dal greco euanghèlion. Se per noi tale parola evoca dei testi scritti, i “libri” dei vangeli, non era così in epoca neotestamentaria, quando indicava la proclamazione orale di un messaggio. Il vangelo non è dunque prima di tutto uno scritto, ma un annuncio orale, una predicazione.
Nella letteratura greca non cristiana il termine indica la ricompensa data al messaggero per la buona notizia annunciata, e quindi anche la “buona notizia”, in particolare la notizia di una vittoria militare. Nel mondo greco-romano il vocabolo è poi connesso al culto imperiale e indica gli eventi della nascita, dell’accesso al trono e delle vittorie militari dell’imperatore. Lo stesso vale per il verbo euanghelìzomai, che indica l’atto di recare buone notizie. Questo verbo assume un significato teologico rilevante a partire dal Secondo-Isaia. Qui la “buona notizia” è l’intervento storico di Dio che libera Israele dalla schiavitù babilonese e dà inizio al nuovo esodo, ma diviene anche annuncio di salvezza e dell’avvento del regno di Dio (Is 52,7). Nella letteratura biblica influenzata dal Secondo-Isaia, in particolare nel Terzo-Isaia e nei Salmi che proclamano la regalità universale del Dio d’Israele (Sal 47; 93; 96-99), questo annuncio proclama la salvezza escatologica e le dà inizio. Particolare rilievo assume la figura del “messaggero” che porta la buona notizia della salvezza (Is 61,1ss; Mt 11,5; Lc 4,17-19).
È possibile che Gesù abbia impiegato, nella sua predicazione, almeno il verbo “evangelizzare”. Di certo, nei vangeli il vocabolo euanghèlion designa anzitutto l’annuncio della regalità di Dio da parte di Gesù, messaggero della salvezza escatologica. Egli non solo proclama tale salvezza, ma la realizza con i gesti e le parole, nella sua persona. Il vocabolo, particolarmente caro a Paolo e frequente nelle sue lettere, è divenuto anche un termine tecnico cristiano per indicare l’annuncio e l’evento stesso della salvezza attuata da Dio in Gesù Cristo. Nel NT Gesù appare così soggetto (nel suo ministero storico) e oggetto (nella predicazione della Chiesa) dell’annuncio evangelico. Nella parola neotestamentaria “vangelo” confluisce sia l’eco delle sue applicazioni al culto imperiale nel mondo ellenistico (e questo gli conferisce una valenza polemica nei confronti dell’ideologia imperiale, che faceva dell’imperatore il salvatore) sia, soprattutto, il senso teologico presente nel verbo “evangelizzare” impiegato nel Secondo-Isaia e nel Terzo-Isaia.
Il plurale “vangeli” fu usato a cominciare dal II sec. Giustino parla delle «memorie degli Apostoli dette vangeli» (I Apologia 66). L’adozione del termine “vangelo” nell’incipit dello scritto di Marco (Mc 1,1), in cui significa ancora l’annuncio orale della salvezza, ha favorito l’applicazione del termine al suo scritto e agli altri “vangeli”. Solo allora il termine ha iniziato a designare uno scritto e un genere letterario. Parallelamente a euanghèlion, a partire dal II sec. (Ippolito e Tertulliano), anche il termine euanghelistès, “evangelista”, inizia a designare ciascuno degli autori dei vangeli. Nel NT, in cui ricorre solo tre volte (At 21,8; Ef 4,11; 2Tm 4,5), tale vocabolo indica invece chi ha il compito di trasmettere, di annunciare e predicare il Vangelo.