Il coraggio della donna Saracena


Tra sale dorate e preziosi addobbi, viveva il re nel castello di Saracena. Indisturbato  soleva divertirsi commettendo dispotiche azioni sulla povera e indifesa gente del feudo. Affacciandosi alla sua reggia, tra balconi e arcate dorate, mirava con cura il suo bersaglio e una volta presa la mira:”Pha colpita…”. Non un uccello in volo né una lepre impaurita, bensì il barilotto portato dalle giovani donne in testa, le quali solevano recarsi con diligenza a fare provvista dell’acqua alla vicina fonte del castello. Ma nulla si poteva a queste ignobili azioni, se non ritornare, con il barile vuoto e rotto nelle proprie dimore. Di certo, non solo a ciò si frenava la fantasia del re arrogante, poiché ad ogni fanciulla, pronta a fare il passo più importante della propria vita, ovvero quello di unirsi a felici nozze il re costringeva a giacere, la notte prima dell’evento, nelle sue stanze, per godere indisturbato delle vergini carni. Sempre la fortuna in questo affronto lo appoggiò, finché una impavida e giovane ragazza di nome Sara, ormai prossima alle nozze, con estrema convinzione e audacia, decise di sfruttare la simile occasione, di stare coricata nelle stanze reali, per donare al presuntuoso sovrano una lezione che mai più avrebbe dimenticato. Giunta la notte, Sara, risalì frettolosamente le scale del maniero, e accedendo nella sontuosa stanza del re, con affanno, disse:   “Prima di concedermi a vostra maestà, voglio calarmi tra le dolci braccia di Morfeo, perché dura è stata la giornata nei campi e, cocente,  il sole ha picchiato sul mio capo”.  “Acconsento mia cara fanciulla…” e ancora prima di farlo lei, fu il re a chiudere le palpebre, calandosi nel soave sonno. Quale occasione migliore, al terzo grido stridulo della notturna civetta, la giovane donna sfilò dalla sua ampia veste la lunga e lucente lama di un coltello e senza titubare sgozzò il monarca ormai colto nel sonno eterno. La giovane donna orgogliosa  di aver liberato il popolo dalle grinfie dell’oltraggioso sovrano,  attraversò le ripide viuzze della città, brandendo tra le mani i lunghi capelli  che avvolgevano il capo del prepotente re, mentre la gente tutta l’acclamava: “Evviva  Sara… Viva la nostra eroina Sara…!!!”. Da allora nessun regale abitò il tetro castello e Sara, coraggiosa e impavida,  divenne per eccellenza, simbolo della compiuta giustizia. A glorificarla in eterno resta il dipinto che troneggia sulla navata della chiesa maggiore di San Leone in Saracena.